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Cinema

E poi c’è Katherine – recensione

Una brillante Emma Thompson è in questa pellicola in stato di grazia e perfettamente calata nei panni della conduttrice di un talk show. La Thompson e la sua ottima spalla, la brava Mindy Kaling (anche sceneggiatrice e produttrice del film), si ritrovano in una commedia intelligente sulle donne e sul loro ruolo nel mondo del lavoro ancora caratterizzato da stereotipi e pregiudizi di genere ed etnici.

Katherine Newbury (Emma Thompson) è la celebre conduttrice di un talk show storico, che resiste da circa trent’anni, realtà questa che appare atipica nel panorama dello spettacolo americano proprio per le sue singolarità. Come un velato presagio, evocato dal significativo titolo originale (Late Night – Notte fonda), a causa di un progressivo calo degli ascolti, è costretta a provvedere a un rinnovo del programma e delle battute comiche che lo animano. Questo la porterà a un cambiamento che arriverà a coinvolgere, oltre alla sfera professionale, il proprio Io.

Fin dalle prime scene, il personaggio interpretato dalla Thompson emerge in modo estremamente ben delineato. Una donna determinata, sicura e talentuosa, ma completamente incapace di esprimere compassione per gli altri e per se stessa. È una persona che ha eliminato o celato segretamente il suo lato emotivo, forse perché costretta a fare i conti con un ambiente lavorativo prettamente maschile e culturalmente poco avvezzo a prestare attenzione ai sentimenti come, secondo uno stereotipo, solitamente si pensa capiti al mondo femminile.

Culturalmente si è abituati a credere che il contesto lavorativo, in particolare quello dello spettacolo, costringa, se si vuole arrivare ai livelli più alti del successo e del potere, a cancellare e ad annullare quasi completamente gli affetti familiari e gli interessi che completano la personalità di ognuno. In particolare, nei confronti del genere femminile, proprio per cultura, pregiudizio e stereotipo sociale si è soliti credere che una donna difficilmente possa raggiungere alte vette professionali, a meno che non faccia “tabula rasa” dei suoi aspetti femminili o che ricorra a facili compromessi. La prima considerazione viene rappresentata nel film. La donna descritta è talentuosa e non si presta alla facile e consueta associazione “donna di successo = compromesso”. Ciò che invece si ritrova nell’immagine femminile descritta è la mancanza della sfera emotiva specialmente nel contesto di lavoro. Katherine non conosce i nomi degli autori che lavorano per lei, ne ignora quasi le facce, non interagisce con loro mai, non ha sostanzialmente nessun tipo di relazione, tanto meno affettiva, e loro si adeguano a questa modalità ormai consolidata da anni. I suoi collaboratori non sono mai entrati nello studio televisivo dove Katherine recita anche le battute da loro scritte per lei. È una perfetta donna in carriera e di potere che ne ha precisamente incarnato lo stereotipo culturale. Sembra come se inconsciamente avesse accettato tale stereotipo e tendesse a utilizzare il pregiudizio sociale nel rapportarsi col genere femminile nell’ambito lavorativo. Nel suo gruppo di scrittori, infatti, non è presente neanche una donna. Appare pertanto emblematica la frase da lei pronunciata “… trovami una che valga la pena tenere!”. Katherine è una donna dura, spietata, per nulla empatica, dall’ironia caustica che spontaneamente e con estrema intelligenza se ne serve anche fuori dal palcoscenico e a cui tutti sono più o meno abituati o tentano di farlo perché, come afferma il suo unico fidato collaboratore: “Noi siamo qui non perché sei gentile, ma perché sei brava”. Ma è una donna che ha dimenticato il proprio Sé e di conseguenza ciò si ripercuote anche nel suo lavoro, nelle sue battute che non arrivano più e nel rapporto col pubblico, che ha dimenticato e messo da parte, come lei stessa riconoscerà in seguito.

Un’espressione veritiera di se stessa si può rintracciare nel rapporto che Katherine ha con suo marito. Proprio la figura del marito e l’interpretazione che ne fa l’attore John Arthur Lithgow merita un giusto elogio. Questo personaggio presenta delle caratteristiche definite che completano e accolgono la personalità di Katherine. Un uomo comprensivo, che appare l’unico in grado saggiamente di non cadere nella definizione dello stereotipo che Katherine sembra ricalcare in modo esemplare. Si deve però all’energica entrata in scena della giovane futura collaboratrice Molly Patel (Mindy Kaling), la riscoperta da parte di Katherine dell’emotività, dell’autenticità e della capacità di entrare in contatto con il proprio Sé e in relazione con l’altro. È Molly con la sua naturalezza e caparbietà, che sconfina quasi nell’insistenza e nell’invadenza, ad aiutare Katherine nel suo percorso di consapevolezza che la porterà a un vero e proprio cambiamento personale.

Lungo questo cammino, fatto anche di conoscenza, Katherine, ormai sempre più vulnerabile, manifesta apertamente le sue emozioni confrontandosi con il marito e fa emergere rimpianti per le sue scelte passate. La fragilità di Katherine permette una riflessione su come, molto spesso, la donna che svolge un lavoro considerato “maschile” possa provare quasi inesorabilmente insoddisfazioni nel dover scegliere tra la realizzazione completa nella sfera personale oppure in quella professionale. La cosa diviene poi ancor più complicata se oltre a essere donna si è di origini indiane come Molly. Le due donne, così apparentemente diverse e in un ambiente prettamente maschile, nel quale c’è una remota possibilità di entrare a scapito della solidarietà femminile, sono in realtà due facce della stessa medaglia e speculari per assonanze identitarie.

Attraverso Molly ora Katherine è in grado di dichiarare il proprio perturbante segreto e di ricavarne un vantaggio personale e professionale. Ciò che è un limite diviene una volta confessato pubblicamente una risorsa. E ancora, con l’arrivo di Molly, Katherine si spoglia della sua vecchia immagine e si riappropria del vero umorismo, finalmente utilizzato, come faceva un tempo, come meccanismo di difesa.

Film da vedere per godere di una bella sceneggiatura, di momenti e battute esilaranti, pungenti, ma che non scadono nella banalità o nella volgarità e di interpretazioni attoriali fantastiche, prima su tutte quella di Emma Thompson. Unica pecca risulta forse il fatto di non fermarsi di più nell’affrontare alcune tematiche importanti.

Sonia Luzi

 

SCHEDA TECNICA:

Data di uscita: 12 settembre 2019 (Italia)

Genere: commedia

Anno: 2019

Titolo originale: Late Night (Notte fonda)

Regia: Nisha Ganatra

Sceneggiatura: Mindy Kaling

Produttori: Ben Browning, Jillian Apfelbaum, Mindy Kaling, Howard Klein

Fotografia: Matthew Clark

Musiche di: Lesley Barber

Montaggio: Eleanor Infante, David Rogers

Costumi: Mitchell Travers

Attori: Emma Thompson, Mindy Kaling, Max Casella, Hugh Dancy,
John Lithgow, Denis O’Hare, Reid Scott e Amy Ryan

Paese: USA

Durata: 102 minuti

Distribuzione: Adler Entertainment

 

 

VOTO: 7