4.48 Psychosis – Recensione
Se si andasse a cercare la definizione di psicosi, troveremmo che per essa si intende una “condizione
patologica di sovvertimento della struttura psichica nei rapporti tra rappresentazione ed esperienza,
ricordi e vita vissuta, emozioni e concetti che le esprimono”.
Se può risultare difficile immaginare i pensieri e l’angoscia nella vita quotidiana di qualcuno costretto a
vivere in questo stato di costante inquietudine e debilitante contraddizione, cionondimeno possiamo
trovare una brillante mediazione all’interno del testo di 4:48 Psychosis di Sarah Kane eseguito nel corso
del primo appuntamento della Trilogia Arvigo, un ciclo di spettacoli presso il Teatro Torlonia a Roma in
mostra con sapiente rappresentazione emotiva alcuni degli angoli più oscuri e tormentati della mente in
una performance estremamente vivida.
Non senza difficoltà, allo spettatore viene aperta una finestra su questa crisi interiore in un momento
preciso della giornata – le 4:48 del mattino. Sono esattamente questo orario e questa condizione a dare il
titolo – 4:48 Psychosis – all’ultimo lavoro di Sarah Kane, drammaturga inglese di cui è da poco ricorso il
ventesimo anniversario della sua scomparsa, nonché artista di cruenta potenza teatrale, logorata per
tutta la vita da un complesso rapporto con la depressione, tema che viene sviscerato nella sua essenza
più cruda e morbosa in tutti i suoi lavori e in modo particolarmente lucido in Psychosis.
Le 4:48 del mattino possono sembrare un orario apparentemente poco importante, forse persino casuale
per la sua collocazione così atipica nella quotidianità di molte persone, ma è intriso di connotazioni ben
più significative. Più volte nello stesso testo, le 4:48 trascendono il concetto di tempo e diventano
nell’immaginario kaneiano una dimensione multiforme, sfaccettata, che riflette le contraddizioni di una
moltitudine di pensieri, come frecce velenose che si scagliano senza posa su una mente sfinita: le 4:48
sono prima un luogo sicuro, una zona franca in cui rifugiarsi “per un’ora e dodici minuti” dai morsi dei
disturbi psichici e ritrovare il sollievo della lucidità; poi una condanna a morte, un’ora funesta che scocca
segnando un’esecuzione capitale, sommaria, inquestionabile. Non è che una delle tante forme assunte
dall’alternarsi di delirî paranoici a cupe ma coscienti riflessioni.
Veniamo introdotti a una prospettiva ravvicinatissima sull’intimità del disagio personale, durante un forte attacco depressivo in cui la Kane esprime quanto più brutalmente il suo malessere interiore. Nel corso della rappresentazione appare sempre più evidente la mancanza di barriere: non ci sono filtri tra
pensiero e parola, tra intenzione e gesto; non ci sono esitazioni né reticenze, ma solo flussi di coscienza
che dipingono immagini macabre, che illustrano in tutto il suo squallore un patimento d’animo radicato
nel profondo.
Su un palco decorato in modo bizzarro e inquietante, ricoperto di frammenti di specchi, la Arvigo a piedi
nudi si muove da una parte all’altra della scena. È doveroso premettere che il testo originale di
Psychosis non contiene precise indicazioni di scena, tanto che le sue rappresentazioni negli anni hanno
avuto un numero variabile e inconsistente di personaggi. La Arvigo domina lo spazio esterno, scarno,
buio, e lo arricchisce dischiudendo il suo spazio interiore, riempiendolo di presenze, aneddoti, invettive,
vaneggiamenti. L’attrice tocca corde delicatissime e raggiunge momenti intensi di alta drammaticità,
riuscendo a rendersi interprete di più voci e linee di pensiero allo stesso tempo, e facendosi vessillo
formidabile, prodigiosamente vero, del tormento schizoide.
Scheda tecnica:
Genere: Drammatico
Cast: Elena Arvigo
Regia: Valentina Calvani
Voto: 8