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I poeti hanno volti deformi: la poetica ‘deformata’ di Matteo Mingoli

«I poeti non si redimono, vanno lasciati volare tra gli alberi come usignoli pronti a morire». Recita così una famosa poesia di Alda Merini, Tu non sai. I Copertinapoeti non si possono comprendere, perdonare, criticare, assolvere, ma, come suggerisce la suggestiva immagine, i poeti, come i piccoli uccelli che cantano senza tregua fino alle luci dell’alba, devono essere lasciati liberi di raccontare la vita e a chi ha il privilegio di ascoltare, non resta altro che lasciarsi coinvolgere, inerme. In un mondo come quello di oggi, abbrutito dalla sofferenza e dalla mancanza di certezze, in cui si preferisce vivere nel ricordo di vecchie passioni piuttosto che trovare il coraggio di viverne di nuove, fare poesia diventa sempre più difficile e chi trova il coraggio di provarci spesso incontra diffidenza e mancanza di fiducia. Questo pensiero è uno dei temi centrali della raccolta poetica dal titolo I poeti hanno volti deformi (la seconda dopo Bagatelles, del 2013) del poeta romano Matteo Mingoli. Un uomo quindi, ma anche un poeta; uno di quelli che, come direbbe lui «fanno paura e tristezza al passare /e solo una volta che non ci son più / li guardi e son belli belli davvero / bellissimi dèi eròi». Fare poesia oggi, diventa dunque un gesto eroico, un atto di sacrifico, per il quale vale anche la pena di sudare «sangue denso viscoso» e mutare «pelli rugose in squame che perdono / ovunque». Poco importa quindi se per fare poesia occorra ‘deformarsi’, assumere un nuovo aspetto, cambiare voce. Dalla poesia di Matteo Mingoli, si percepisce quanto essa non sia per l’autore solo un mero esercizio stilistico, ma un vero e proprio bisogno, il bisogno di comunicare a gran voce le emozioni più profonde e talvolta scomode. Ogni lettera, ogni sillaba si sussegue all’altra con naturalezza, senza forzature e senza ammiccamenti, creando versi e immagini reali, quotidiane, come succede in Milano grigia, la cui stazione «alta opaca ferrosa» diventa lo scenario perfetto per ospitare l’inspiegata tristezza dell’autore che si mescola al via vai di cappelli e cappotti. I temi affrontati spaziano dalle delusioni agli scontri, dalle aspettative ai sentimenti quali l’amore e la tenerezza suscitata dal ricordo del passato, senza scadere mai nel banale o nel superficiale. Anche nello stile usato per comporre, l’autore cerca di riprodurre l’essenzialità del concetto, servendosi di versi spezzati, assenza di punteggiatura, rime e assonanze interne, cambi di intensità e ritmo sincopato. Con questa raccolta schietta e genuina Matteo Mingoli non solo regala ai suoi lettori immagini, odori e sapori, ma traduce in versi che cosa vuol dire per un poeta fare poesia, e soprattutto, riuscire a farne dono.

Matteo Mingoli
I poeti hanno volti deformi
Roma, Edizioni Haiku, 2017, p. 96

 

Alessandra Corbo.