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Teatro

Mary Shelley e Frankenstein – Recensione

Ci sono parole, come arte, colore o in particolar modo tempo, che si usano con una frequenza a cui non sempre corrisponde una piena comprensione del loro significato: vale a dire che pur usando con scioltezza queste parole nelle più svariate circostanze linguistiche, difficilmente si saprebbe fornire una risposta soddisfacente qualora qualcuno ce ne chiedesse una definizione esaustiva.

Questa osservazione merita ulteriore attenzione se applicata al termine mostro. Cosa o chi viene descritto quando si usa questa parola, preferendola a un appellativo più specifico o semplicemente meno astratto? A questa domanda viene data nuova importanza nel testo di Mary Shelley e Frankenstein, monologo-ballata di Enrico Bernard diretto e interpretato da Melania Fiore al Teatro Lo Spazio.

Ironicamente, la storia del mostro di Frankenstein è anch’essa largamente conosciuta, soprattutto grazie al suo radicamento nella cultura popolare e nell’immaginario collettivo, ma basta una riflessione appena più approfondita per rendersi conto dell’ingannevole semplicità di questo argomento. A caratterizzare il libro considerato padre del genere horror, infatti, vi è una moltitudine di temi, come la natura dell’anima, la ricerca di risposte e conoscenza a scapito della propria umanità, il rapporto iniquo tra creatore e creatura. Non c’è da sorprendersi, dunque, se il testo originale riporta come sottotitolo “Il moderno Prometeo”: il titano della mitologia classica è noto per aver rubato il fuoco agli dèi facendone dono agli uomini e liberandoli dall’oscurità, ma il vero significato di questo gesto è quello di una ribellione verso una condizione arbitrariamente imposta, verso un destino prefissato – un’oscurità metaforica il cui buio non lascia speranze al genere umano.

Sono quindi queste analogie ricorrenti ad arricchire il testo di chiavi di lettura: Il primo mostro, l’incarnazione di ciò che più fa orrore alla mente, è l’esacerbazione del malessere generatosi nella Shelley, la cui vita costellata di amarezze, perdite e tradimenti trova un canale creativo nella generazione di un altro mostro – fisico e concettuale: quello del dottor Frankenstein, creatura anomica la cui natura trascende la definizione di vita e morte, raccapricciante esperimento senza altra colpa se non quella di essere stato creato a sua insaputa, la cui origine altro non è che un atto di sprezzo verso la Creazione primaria, genesi perfetta e crudele nelle sue inerenti limitazioni: un gesto che non risulta dissimile dal furto del fuoco ad opera di un altro mostro, orrendo colpevole della distruzione dell’ordine, del sistema costituito. Questo flusso generativo, questo legame tra creatore e creatura, viene esplorato anche nella dimensione della maternità, che trova nelle perdite della scrittrice altri mostri: il dolore dei non nati con cui la giovane scrittrice deve convivere producono incubi, ansie e tormenti.

Mary Shelley e Frankenstein è un avvertimento, uno sguardo attento sulle implicazioni del “giocare a essere Dio”, uno struggente gioco delle parti dove il confine tra volontà e libertà di esistere non può essere più labile.

 

Scheda tecnica:

Genere: drammatico

Testo di Enrico Bernard

Diretto e interpretato da Melania Fiore

Voto: 7