Nureyev – recensione

Nureyev. Un biopic riuscito a metà a causa dello straziante montaggio che piroetta, esattamente come il protagonista, in un continuo andirivieni, con un risultato traumatico per lo spettatore. Spettatore che non si raccapezza più tra presente è passato, “sei mesi fa” e all’inizio del percorso artistico del grande ballerino russo.

La trama: Nureyev –  The white Crow segue la vita del leggendario ballerino Rudolf Nureyev (Oleg Ivenko), dell’infanzia sofferta nella gelida città sovietica di Ufa, fino a divenire ballerino nella scuola che ha frequentato a Leningrado. Incontenibile e ribelle, a soli 22 anni fa parte della rinomata Kirov Ballet Company, con la quale va a Parigi nel 1961, nel suo primo viaggio al di fuori dell’Unione Sovietica. Gli ufficiali del KGB, però, lo marcano stretto, diffidando enormemente del suo comportamento anticonformista e della sua amicizia con la giovane parigina Clara Saint (Adèle Exarchopoulos). Le intemperanze avranno conseguenze drammatiche, il ballerino non potrà andare a Londra con la compagnia e dovrà essere immediatamente rimpatriato. I “superiori” di Nureyev gli comunicano che deve assolutamente tornare in patria per esibirsi al Cremlino ma lui comprende che sta pagando caro il prezzo della sua libertà nella capitale parigina…

Se l’interpretazione ai minimi storici di un Ralph Fiennes relegato ad insegnante impotente – in ogni senso… – non risulta essere la maggiore attrattiva del film, Lo è la veridicità dell’atmosfera che ci pervade per tutta la durata del film. Discreta prova del cast, della fotografia e della regia. Questo Nureyev però nonostante l’impatto dirompente della vita del ballerino che regala numerosi suti di riflessione, non vince e non convince, almeno non del tutto. Si poteva fare meglio? Assolutamente sì. Peccato…

Stefano Labbia.

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